Non c’è solo la «scaletta» dei negoziati a dividere Ue e Regno Unito alla vigilia della trattativa della Brexit (Londra vuole discutere da subito la partnership futura, Bruxelles vuole prima chiudere i conti). Le linee-guida consegnate ieri da Donald Tusk agli ambasciatori dei 27 Paesi Ue aprono un nuovo fronte che può sembrare un dettaglio, ma rischia di diventare esplosivo. Il fronte è quello di Gibilterra, lembo di terra al Sud della Penisola iberica a sovranità britannica, al centro di una eterna disputa tra Madrid e Londra. Fino ad oggi Bruxelles si è chiamata fuori: essendo il territorio conteso tra due Stati membri, non ha mai preso posizione. E la questione è rimasta irrisolta, con tensioni e dispetti reciproci. Ma con la Brexit cambia tutto: «Il nostro compito - dicono dal Consiglio - è quello di rappresentare i nostri Stati membri». E nella partita per la contesa del «Peñón», adesso l’Ue tifa Spagna.
Il punto 22 (sui 26 totali) dice infatti che «quando il Regno Unito lascerà l’Unione, nessun accordo tra Ue e Uk si potrà applicare al territorio di Gibilterra senza un’intesa tra la Spagna e Londra». Tradotto vuol dire che Madrid avrà una sorta di veto. Senza il suo assenso, Gibilterra rischia di rimanere isolata, priva di qualsiasi legame con il resto dell’Ue (come invece potrebbero avere i britannici). Per il governo spagnolo è una grande vittoria, mentre il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, promette che il suo governo è pronto a opporre una «resistenza implacabile per difendere Gibilterra.
In realtà una fonte di alto livello del governo spagnolo fa notare un dettaglio che agli occhi dell’esecutivo guidato da Rajoy ha «un significato particolare». Perché «nella lettera con cui ha attivato l’articolo 50, Theresa May ha fatto esplicito riferimento alla situazione irlandese, ma non ha scritto una parola su Gibilterra. Questo potrebbe voler dire che la penisola non sta poi così a cuore a Londra. E che forse è pronta a sacrificarla…». Questa è solo la visione spagnola ma i prossimi mesi ci diranno se le cose stanno veramente così.
Per il resto le linee-guida europee ribadiscono un concetto molto chiaro: ci sarà «un graduale approccio ai negoziati» e «la cornice per gli accordi sulla futura partnership andrà sì definita durante i due anni di trattativa», ma «in una seconda fase». Ovviamente Bruxelles non ritiene di dover per forza chiudere un accordo definitivo sugli aspetti del divorzio prima di affrontare il resto, ma certamente si inizierà a parlare di futuro solo quando saranno stati raggiunti «significativi progressi» sull’uscita. Cosa vuol dire? «Su questo ci sarà una valutazione politica» spiegano dal Consiglio, di certo l’Ue punta ad affrontare questa discussione solo nel 2018. «Al massimo tra novembre e dicembre del 2017» dice una fonte vicina ai negoziati. Londra invece insiste per discutere sin da subito la partnership.
Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha assicurato che «i diritti dei cittadini vengono prima di tutto» e ha invitato Londra a «onorare i suoi conti e i suoi impegni». Annuncia che Bruxelles non «avrà un approccio punitivo, ma i negoziati saranno difficili». Tanto che le linee-guida prendono in considerazione «qualsiasi eventualità nel caso falliscano». Di certo non ci saranno accordi sui singoli capitoli, ma l’intesa sarà «un pacchetto unico». Per approvarla non servirà la ratifica dei parlamenti nazionali. Che invece dovranno esprimersi, al termine del processo, sull’accordo per la partnership futura. Motivo per cui un periodo transitorio sarà inevitabile, seppur «limitato nel tempo».